Quando si pensa ai robot, nell’immaginario collettivo si figura l’immagine di qualche protagonista dei film di fantascienza, ma oggi è realtà che i robot siano in grado di suonare strumenti con gestualità umana, essendo dotati di sensori e programmazioni avanzate che consentono il controllo automatico. Sono diversi gli artisti che hanno sperimentato l’utilizzo di tali tecnologie per dare vita a una nuova forma artistica. In questi casi, gli autori utilizzano un’AI come mero strumento di ausilio alla creazione, infatti il risultato dell’attività viene controllato dall’autore stesso per tutto il corso del processo creativo e non si può rintracciare un consistente margine di imprevedibilità nell’applicazione degli algoritmi. Tuttavia, la rapida diffusione dell’intelligenza artificiale generativa ha aperto il vaso di Pandora sotto molti profili giuridici: più precisamente, come accennato in precedenza, ci si chiede se sia possibile identificare l’autore di un’opera generata da una IA; se sia lecito utilizzare contenuti di terzi (protetti da copyright) per “addestrare” gli algoritmi generativi; a quali soggetti spettano i diritti patrimoniali di sfruttamento delle opere. All’inizio del 2023, sull’onda di quanto accade anche oltreoceano, si discute della liceità delle operazioni scraping su web che sono alla base dei sistemi di addestramento dei modelli di AI generativa. La Suprema Corte di Cassazione si è espressa sul punto con la pronuncia 1107 del 16 gennaio 2023, relativa alla lamentata violazione del diritto d’autore sull’opera usata come scenografia fissa per il Festival di Sanremo del 2016. Volendo riassumere brevemente i fatti, l’architetto B.C. conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Genova, la Rai – Radiotelevisione Italiana s.p.a., assumendo di essere la creatrice dell’opera grafica “The Scent of the night”, creata con l’ausilio dell’IA (figura 1) e lamentando la violazione del proprio diritto d’autore sull’opera, che era stata utilizzata dalla RAI senza alcuna autorizzazione concessa dalla creatrice, come scenografia fissa per il Festival di Sanremo del 2016. La donna, dunque, chiedeva di essere risarcita per il danno subito. La RAI si costituiva in giudizio, chiedendo la reiezione delle avversarie domande in quanto infondate. La sentenza di primo grado del Tribunale di Genova accertava la paternità dell’opera in capo a B.C. e la violazione del diritto d’autore ad ella spettante da parte della RAI, condannando conseguentemente quest’ultima al risarcimento del danno, liquidato equitativamente in euro 40.000,006. Secondo il Tribunale, l’opera doveva considerarsi creativa, essendo inoltre stata confermata la titolarità dell’opera sulla base di una rapida ricerca on line, nonché di un libro edito da Mondadori che conteneva l’immagine con l’attrice. Avverso la già menzionata sentenza, la RAI, proponeva appello dinnanzi alla Corte di appello di Genova che con sentenza respingeva il gravame. Il procedimento giunge, così, alla Corte di cassazione, cui la RAI ricorre perché ritiene che la Corte di appello abbia errato nel postulare il carattere creativo dell’immagine, sottovalutando il ragionamento seguito dal convincimento della RAI stessa e rendendo criptico il fondamento della decisione. La Corte di appello, nella redazione della sua risposta, è partita dal concetto giuridico di creatività, cui fa riferimento la L. n. 633 del 1941, art. 1 (LDA, Legge sul Diritto d’Autore), dove il concetto di creatività è connesso all’originalità intesa come forma interna con cui viene trattato l’argomento e forma esterna intesa come un minimo di individualità rappresentativa. La mera creazione di un’opera dell’ingegno non assicura la tutela prevista dalla legge: vengono protette le sole opere dotate di “carattere creativo”, individuate facendo riferimento all’originalità dell’opera, dunque in questo contesto originalità e carattere creativo posso essere intesi come sinonimi. Di conseguenza, la creatività non può essere esclusa soltanto perché l’opera consiste in idee e nozioni semplici, ricomprese nel patrimonio intellettuale di persone aventi esperienza nella materia; inoltre, la creatività non è costituita dall’idea in sé, ma dalla forma della sua espressione, ovvero dalla sua soggettività, di modo che la stessa idea possa essere alla base di diverse opere, che sono o possono essere diverse per la creatività soggettiva che ciascuno degli autori spende e che, in quanto tale, rileva ai fini della protezione. Più precisamente, nella fattispecie, la Corte di appello ha ritenuto l’opera creativa, proveniente solo dall’ispirazione del suo autore e ha confermato la valutazione espressa dal giudice di primo grado, sostenendo che l’immagine non era una semplice riproduzione di un fiore, ma ne comportava una vera e propria rielaborazione, perciò meritevole di tutela autorale per il suo carattere creativo.
La creatività è prerequisito di accesso alla protezione giuridica, dettata sia dal codice civile (art. 2575 codice civile: “Formano oggetto di diritto d’autore le opere dell’ingegno di carattere creativo”), sia dalla legge speciale (art. 1 comma 1 LdA: “Sono protette ai sensi di questa legge le opere dell’ingegno di carattere creativo”). Il concetto giuridico di creatività non si riferisce alla novità assoluta (nel caso concreto, non è nuova l’immagine floreale), bensì all’elaborazione personale di un’idea, quindi si potrebbe trattare anche di un atto creativo minimo, ma idoneo a conferire una personalizzazione alla forma esterna dell’opera, riflettendo la personalità dell’autore (come accade con la rappresentazione del fiore)11. Infine, a riprova di quanto detto, è stato osservato il grado di notorietà raggiunto dall’opera sul web, tra commenti e condivisioni. Secondo i giudici di legittimità, dunque, la motivazione è pertanto esistente e non meramente apparente. Inoltre, la RAI ritiene che la Corte di appello abbia erroneamente qualificato come opera dell’ingegno una immagine generata da un software, il cui carattere creativo non sarebbe attribuibile alla supposta autrice. In particolare, la RAI sostiene che l’opera della resistente sia una immagine digitale, a soggetto floreale, a figura c.d. “frattale”, ossia caratterizzata da auto similarità, e dunque sarebbe stato il software ad elaborare le forme su scale di grandezza differenti, costituendo le connotazioni fondamentali dell’opera, quali la forma, i colori e i dettagli. La Suprema Corte, al contrario, ha affermato come l’utilizzo di un software nel processo creativo di un’immagine non è “certamente sufficiente” per negare il carattere creativo di un’opera dell’ingegno e come tale utilizzo imponga solo uno scrutinio maggiormente rigoroso del tasso di creatività, volto a “verificare se e in qual misura l’utilizzo dello strumento abbia assorbito l’elaborazione creativa dell’artista che se ne era avvalsa”12. L’architetto B. C., secondo la Corte, ha utilizzato l’IA come braccio ausiliario, essendo la sua opera creata prevalentemente con l’input e la supervisione umana. La Corte si è limitata ad affermare che “si sarebbe reso necessario un accertamento di fatto per verificare se e in quale misura l’utilizzo dello strumento avesse assorbito l’elaborazione creativa dell’artista che se ne era avvalsa”. Non vi è quindi stato un accertamento nel merito, tanto che la Corte stessa ha precisato come il tema dell’arte digitale quale “opera o pratica artistica che utilizza la tecnologia digitale come parte del processo creativo o di presentazione espositiva” costituisca, ad oggi, un tema inesplorato dalla giurisprudenza della Corte. Alla luce di quanto appena esposto, l’apporto umano è ritenuto prevalente rispetto a quello della macchina e conseguentemente sarebbe insensato non riconoscere tutela autorale alla persona che si sia servita di tale strumento per una creazione artistica. Nel caso opposto in cui prevalga l’apporto della macchina su quello umano, si discute sulla tutelabilità dell’opera, tanto che ci si chiede, addirittura, se gli algoritmi stessi possano essere concepiti come responsabili, dotandosi di personalità giuridica. Tale protezione sarebbe tuttavia da escludere se si segue l’interpretazione più stringente della l. 633/1941 e l’orientamento tradizionale (ribadito anche dalla Corte nella decisione in commento) per cui una creazione intellettuale è ritenuta originale solo se rispecchia la personalità dell’autore. Alla luce di questi indirizzi dovrebbe essere naturale dedurre che l’elemento creativo, dotato di questa connotazione, è una prerogativa attribuibile esclusivamente al genio umano. In questo senso, l’opera dell’algoritmo non potrebbe essere ritenuta creativa, non avendo esso una personalità né potendola, tantomeno, manifestare; la pretesa autrice, quindi, avrebbe solamente scelto un algoritmo da applicare e approvato a posteriori il risultato generato dal computer. Pur ritenendo di non avere titolo per affrontare il motivo di gravame, inammissibile perché tardivo, la corte di Cassazione incidentalmente giunge alla medesima conclusione, affermando che sarebbe stato necessario un accertamento di fatto per verificare se e in qual misura l’utilizzo del software avesse assorbito l’elaborazione creativa dell’artista che se ne era avvalsa. La corte osserva come non vi siano le condizioni processuali per affrontare il tema dell’arte digitale e della misurazione dell’apporto creativo dell’AI nel processo umano. Potrebbe essere invocabile la tutela autoriale ove l’utente della piattaforma sia in grado di provare che il modello di AI sia stato solo una parte del processo creativo personale. Il caso si conclude dunque con il riconoscimento della paternità dell’opera in capo all’autrice, risolvendo la quaestio. Tuttavia, i dubbi che attanagliano i giuristi restano irrisolti: le normative brevettuali e autoriali sono nate storicamente per tutelare le invenzioni di “persone”, dunque formalmente risulterebbe forzata una tutelabilità di output generati da macchine e sarà di fondamentale importanza adottare un atteggiamento preventivo e protettivo nei confronti dei diritti degli artisti. Non è la prima volta che la tecnologia e la legge sul copyright si scontrano: Google si è difesa con successo da una causa legale sostenendo che l’uso trasformativo consentiva di attingere il testo dai libri per creare il suo motore di ricerca. La sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti, infatti, segna un precedente importante per l’economia digitale, sancendo che il copyright non si estende agli eventuali usi trasformativi delle opere.
Dott.ssa Federica Suriano
